Mi chiamo Giulia Rinaldi, vivo a Verona, tra ponti antichi e silenzi moderni. Era un lunedì di pioggia, grigio come i pensieri che affollavano la mia mente. Lo ricordo bene. Avevo appena ricevuto una mail urgente dal capo, le scadenze si accumulavano come valanghe e, nel mezzo di quel caos, il telefono squillò.
«Mamma», lessi sullo schermo. E mi salì il nervoso.
«Non chiamarmi più, mamma, sono occupata!» — gridai, con la voce rotta dalla frustrazione. Non le diedi il tempo di rispondere. Riagganciai. Forte. Fredda. Certa di avere ragione.
Lei non richiamò.
Non quel giorno.
Neppure quello dopo.
Nei giorni seguenti, il suo silenzio fu come un balsamo. Niente domande, niente «Hai mangiato? Hai dormito? Ti serve qualcosa?» Finalmente, pensavo, respiravo. Libera.
Ma poi arrivò il vuoto.
Il vuoto nei messaggi, nelle chiamate, persino nei sogni.
Una sera, dopo aver lavorato fino a tardi, mi sedetti sul divano. Guardai il telefono. Niente. Nessun messaggio. Nessun “buonanotte, amore mio”.
Qualcosa dentro di me si spezzò, piano, come una crepa invisibile nel vetro. E mi accorsi di quanto fosse silenzioso quel vuoto.
Decisi di chiamarla.
Una volta. Due. Dieci.
Nessuna risposta.
Mi assalì il dubbio. Poi il panico. Presi la macchina, guidai sotto la pioggia fino al paesino dove lei viveva da sola. Ogni goccia sul parabrezza sembrava un rimprovero.
La porta era chiusa, ma avevo le chiavi.
Entrai. La casa era immersa nel buio.
La trovai nel soggiorno. Seduta sulla poltrona, lo sguardo perso fuori dalla finestra.
Viva, ma assente.
«Mamma?»
Mi guardò. I suoi occhi erano stanchi, pieni di una tristezza antica.
«Non volevo disturbarti», disse con un filo di voce. «Hai detto che eri occupata… e ho capito. Ho capito tutto.»
Scoppiai in lacrime. Caddi in ginocchio davanti a lei.
«Perdonami… ti prego.»
Lei sorrise piano, mi accarezzò i capelli come faceva da bambina.
«Ho solo voluto bene troppo forte. Ma adesso so che devo lasciarti andare… anche se sei tutto quello che ho.»
Quella notte rimasi con lei. Non ci dicemmo molto, ma le nostre mani intrecciate dissero tutto.
Ora, ogni giorno, prima di dormire, la chiamo io. Anche se non risponde. Anche se a volte c’è solo silenzio.
Perché il vero silenzio non è l’assenza di suoni.
È l’assenza di chi ti ama.