La soledad que llega con la jubilación: ¿por qué desaparecen todos cuando más los necesitas?

La soledad que llega con la jubilación: ¿por qué desaparecen todos cuando más los necesitas?

Mi nome è Carla, ho sessant’anni e, per la prima volta nella mia vita, mi sento invisibile. Fisicamente sono qui: vado al supermercato, compro il pane, sistemo la casa, ma dentro di me cresce ogni giorno di più un vuoto che non riesco a colmare. Quando mi sono ritirata dal lavoro, pensavo che avrei avuto più tempo per me stessa, che finalmente avrei potuto godermi la vita. Ma invece di gioia, è arrivata l’ansia.

Da quando ho lasciato il lavoro, tutto è cambiato. Non ci sono più i colleghi con cui scambiare due parole, non ci sono più le chiacchiere in pausa pranzo. Mi sono ritrovata sola, in un silenzio che mi opprime ogni giorno. Ho provato a colmare questa solitudine con attività: ho pensato di iniziare un corso di pittura, di passeggiare nei parchi, di dedicarmi a hobby che avevo messo da parte. Ma nulla mi ha distratto dalla realtà: i miei figli sono lontani, le visite ai miei nipoti sono diventate una rarità, e mio marito, ormai ex, vive nel paese vicino, ma non si fa mai sentire.

Ho cercato di capire cosa fosse successo. Li ho cresciuti da sola, dopo che mio marito ci ha lasciato quando erano piccoli. Ho lavorato duramente, ho cucinato, ho lavato i loro vestiti, ho cercato di essere una madre presente e responsabile. Eppure, ora che sono grande, mi sento abbandonata. Quando parlo con i miei figli, sento che non mi capiscono. Mia figlia, che vive a Milano, non mi ha mai invitato a visitarla, nemmeno per le feste. Un giorno, le ho chiesto: “Perché non vuoi che venga? Potrei aiutarti con i bambini.” La sua risposta, fredda e distante, mi ha gelato: “Mamma, lo sai… a mio marito non piaci. Sempre a criticare, sempre a voler sapere tutto.”

Poi, ho cercato di parlare con mio figlio, che abita a Roma. Gli ho detto che non mi sentivo bene, che avevo finito le medicine e che avevo bisogno di aiuto. La sua risposta è stata altrettanto distante: “Mamma, io non sono un medico, chiama un’ambulanza, non aspettare.” Le sue parole mi hanno colpito come una frustata, e ho sentito un peso sul cuore che non riuscivo a liberarmi. Mi sono sentita inutile, come se fossi un fastidio.

Cercando di far fronte a questa solitudine, ho deciso di andare dal medico. Mi hanno fatto tutti gli esami possibili: ecocardiogramma, analisi del sangue, ma alla fine mi hanno detto che non c’era nulla di fisico che giustificasse i miei sintomi. “Signora, è solo un problema psicologico. Lei ha bisogno di socializzare di più”, mi ha detto il dottore. Ma come posso socializzare, quando sento che nessuno ha bisogno di me? La verità è che non c’è medicina che possa curare la solitudine che sento ogni giorno.

A volte vado al supermercato, non tanto per fare la spesa, ma per sentire la voce della cassiera, per sentire che esisto per qualcuno. Mi siedo su una panchina in piazza, con un libro tra le mani, ma leggo senza concentrarmi, sperando che qualcuno si fermi a parlare. Ma la gente ha sempre fretta, è sempre indaffarata. E io… semplicemente sono qui. Vivo. A volte mi chiedo se qualcuno se ne accorgerebbe se sparissi improvvisamente. La mia famiglia non mi cerca, i miei figli non si fanno sentire. Eppure, non voglio arrendermi. Continuo a svegliarmi ogni mattina, a preparare il tè, sperando che un giorno qualcuno ricordi di me, qualcuno mi chiami.

Una notte, mentre preparavo la cena, ho ricevuto una telefonata. Era Marco, il mio ex marito. “Ciao Carla, come stai?” mi ha chiesto con tono gentile, ma qualcosa nel suo tono mi ha fatto sentire che non mi stava solo facendo una cortesia. Abbiamo parlato per un po’, del più e del meno, come se fossimo ancora una famiglia, e alla fine mi ha detto: “Sai, ho pensato a te. Forse, se vuoi, possiamo fare qualcosa insieme, magari una passeggiata al parco.”

Ero sorpresa, perché non mi aspettavo di sentirlo così interessato. “Mi piacerebbe”, ho risposto, sentendo un’incredibile sensazione di calore nel cuore. Forse non tutto era perduto. Forse, nonostante gli anni di separazione, c’era ancora qualcosa da ricostruire.

Il giorno dopo, Marco è venuto a trovarmi. Abbiamo passeggiato insieme per il parco, parlato del passato, delle nostre vite. E per la prima volta da molto tempo, mi sono sentita ascoltata. Non era più il marito che avevo conosciuto, ma un uomo che, dopo anni, sembrava aver trovato di nuovo la sua strada.

Mi sono resa conto che la solitudine che sentivo non era solo la mia. Era la solitudine che anche lui aveva provato, vivendo senza di me per tutti quegli anni. In quel momento ho capito che forse non è mai troppo tardi per trovare un po’ di compagnia, anche nei luoghi più inaspettati.

Forse non sarò più giovane, ma la vita ha ancora dei capitoli da scrivere, anche se a sessant’anni. E chissà, forse un giorno qualcuno ricorderà che ho ancora tanto da offrire.

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